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Addio agli stereotipi: cari brand forse è ora di cambiare (partendo dai dati)

  • 1. Gli stereotipi possono rivelarsi una perdita di opportunità se arrivano ad ostacolare percorsi
  • 2. La pubblicità utilizza gli stereotipi: uno studio rivela la rappresentazione di uomini e donne negli spot televisivi italiani, confrontando la realtà attuale con quella degli anni ’80
  • 3. World Championship 2019 di League of Legend: la collaborazione di Louis Vuitton con Riot Games

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“Gli italiani mangiano pizza e spaghetti”, “i tedeschi indossano i calzini con i sandali”, “le donne non sanno guidare”, “i videogiochi sono per ragazzini nerd”.

Stereotipi. Abitano nella nostra società e producono visioni distorte del mondo. Li troviamo ovunque: in una chiacchierata al bar, nella segnaletica della toilette, sul posto di lavoro, in famiglia e nella pubblicità.

A volte strappano bonari sorrisi, altre volte invece umiliano, discriminano, ostacolano percorsi. In ogni caso possono rivelarsi una grande perdita di opportunità: sia per le persone che ne subiscono l’influenza o agiscono secondo stereotipi, sia per i brand e le pubblicità.

Nei prossimi paragrafi, parleremo di stereotipi, pregiudizi, pubblicità, dati e personas, concentrandoci infine sull’evoluzione del gamer e del settore gaming.

Stereotipi e pregiudizi

Lo stereotipo è una credenza o idea preconcetta, che un individuo e gruppo di persone ha su un altro gruppo. L’idea su cui si fonda può essere parzialmente vera oppure falsa, nel primo caso lo stereotipo sarà come una lente di ingrandimento che amplifica un particolare della realtà. Tornando al caso degli italiani, non tutti mangiano spaghetti, e in questo caso si è semplificata e classificata una complessità, che nel caso specifico è l’alimentazione di questo popolo.

Lo stereotipo può essere poi positivo o negativo: nel secondo caso può trasformarsi in pregiudizio e in atteggiamento discriminante. Infine, lo stereotipo può coinvolgere diverse caratteristiche degli individui: solitamente sentiamo parlare di stereotipi di genere, orientamento sessuale, nazionalità (e regionalità), ma ne abbiamo anche di età, di religione, di aspetto fisico, di disabilità, ecc.

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Negli ultimi anni molti brand, in ottica diversity e inclusion, si sono schierati contro pregiudizi, discriminazioni e stereotipi tradizionali in favore della diversità, diventata protagonista di molte pubblicità attuali.

La pubblicità come specchio della società

I media sono del resto lo specchio della società. Lo spot, il post su Facebook, la comunicazione politica sui social comunicano quello che gli utenti si aspettano. I brand cercano di identificarsi con il pubblico di destinazione e creare con loro relazioni durature.

Gli stereotipi sono da sempre un mezzo utilizzato in pubblicità, sono facilmente riconoscibili e rappresentano una credenza diffusa e generalizzata nel contesto di appartenenza.

Nel momento in cui la società cambia, cambiano anche gli stereotipi e con essi la pubblicità. Interessante in tal senso lo studio “Gli Stereotipi di Genere nella pubblicità televisiva: evoluzione o regressione?”, dove viene analizzata la rappresentazione di uomini e donne negli spot televisivi italiani, confrontando le rappresentazioni attuali a quelle tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta.

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Tra i risultati, sorprendentemente, troviamo che:

“Se nel 1987 uomini e donne incarnavano fortemente i ruoli tradizionali, nel 1997 si aveva l’impressione di aver imboccato un percorso verso la parità. La percezione che si ha con i dati più recenti è invece quella di essere regrediti alla riproposizione dell’antico gioco dei ruoli basati sull’agency maschile e sulla communality femminile: oggi, uomini e donne sono ugualmente esperti e indipendenti, ma il ruolo di user, le relazioni di cura e i prodotti domestici tornano a essere prerogativa dell’universo femminile. I risultati dell’indagine confermano la presenza di stereotipi che raffigurano la donna come dotata di poche e immutabili caratteristiche: è giovane, bella e affettuosa”.

La lotta agli stereotipi di genere

Gli stereotipi rappresentano una realtà distorta e se negativi possono trasformarsi in pregiudizi e discriminazione. Utilizzando stereotipi negativi, la pubblicità alimenta tale distorsione e per questo le autorità si stanno muovendo con regole più rigide e censure.

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Lo scorso giugno nel Regno Unito, l’ASA, Advertising Standards Authority, ha censurato due spot, uno di Philadelphia e l’altro di Volkswagen, poiché facevano uso di stereotipi di genere. Un primo passo importante, che speriamo si estenderà anche ad altri paesi e porterà maggior consapevolezza in quei brand ancora legati a schemi del passato.

Dati e stereotipi

Lo stereotipo è un limite anche per i brand, perché rischia di escludere una parte di audience. Mentre in passato a causa di strumenti e dati limitati era più semplice utilizzare stereotipi, oggi la tecnologia e il digitale ci offrono la possibilità di andare oltre.

Un grande esempio è la recente ricerca di Comscore, che ha sfidato lo stereotipo secondo cui persone di età over 55, lavoratori fulltime e con reddito alto, siano il target ideale per oggetti di lusso. Il motivo è che sono costosi, individuali e chi li compra ha un alto potere d’acquisto, di solito correlato a un’età adulta avanzata. I dati della ricerca hanno tuttavia mostrato uno scenario differente. Se continua ad essere ovvio un alto reddito familiare per acquistare il bene di lusso, lo stato di vita e l’età sfidano lo stereotipo. I maggiori luxury converter hanno infatti un’età compresa tra 30-34 anni seguiti dai 35-44 anni e over 55.

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ricerca stereotipi comscore Fonte: comscore

I brand che erroneamente si sono rivolti solo alla fascia over 55, hanno quindi perso un’occasione con la fascia d’età 30-44. Ma non solo. Lo stereotipo parlava di “dipendenti a tempo pieno”, mentre la ricerca mostra come i lavoratori part time e la fascia casalinga/o, siano coloro che rispettivamente convertono e acquistano di più.

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Personas o stereotipi?

Un passaggio fondamentale per evitare di cadere negli stereotipi è la corretta costruzione delle Buyer Personas. In mancanza di dati sufficienti e di budget per ricerche approfondite, succede spesso di affidarsi ad assunzioni e ipotesi interne all’azienda e agire presupponendo che sia la realtà. Un altro errore è quello di rappresentare le personas come una media dei dati presi dalle analitiche.

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Stereotipare un cliente tipo può essere un primo step utile, a patto che l’ipotesi sia uno spunto e un punto di partenza soggetta a validazione con test, survey, campagne, strumenti di marketing automation, social listening. La persona non è inoltre un elemento immutabile, ma un organismo soggetto a evoluzioni e cambiamenti nel tempo.

Con i dati e gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi possiamo poi personalizzare i messaggi e provare ad empatizzare con un utente “tridimensionale”, come fatto ad esempio da Abreva.

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Attenzione inoltre a non inserire ulteriori stereotipi nelle descrizioni delle personas. Per esempio se dicessimo che la buyer persona di Moleskine è un “hipster, che ascolta indie, scrive poesie, frequenta Starbucks e usa il Mac”, staremmo utilizzando lo stereotipo hipster con tutte le caratteristiche correlate. Sarebbe invece meno limitante descriverlo come “un giovane professionista, creativo, attento alla qualità e al brand, che ha poco tempo a disposizione”.

I veri gamer, altro che stereotipi

Parlando per stereotipi, il tipico gamer è un ragazzo giovane, solitario e con problemi sociali, pigro e senza obiettivi futuri, a rischio di atteggiamenti violenti?

Una ricerca della Entertainment Software Association (ESA) ci mostra in realtà un profilo molto diverso. In USA i videogiocatori sono per il 54% uomini e il 46% donne, con una media di età di 33 anni. Il 52% dei gamer è laureato.

millennial gamer

millennial gamer Fonte: Theesa

I videogiocatori americani hanno un hobby creativo nel 56% dei casi, nel 32% suonano uno strumento musicale, nel 17% meditano. Dedicano circa 4,1 ore la settimana all’esercizio fisico (contro 3,9 ore della media degli americani) e il 17% è vegetariano. I device più utilizzati da gamer adulti sono smartphone (60%), PC (52%), Console (49%).

In Italia i videogiocatori sono 17 milioni,  il 59% di uomini (fascia d’età 25-54) e il 41% di donne (maggiore fascia di età 25-34). Come per gli USA lo smartphone è il device più utilizzato (52%), seguono le console (48%) e il PC (46%). Sulle console si passa maggior tempo (8,3 ore a settimana).

Louis Vuitton partner di League of Legend

Vorrei chiudere questo viaggio tra stereotipi e realtà con un caso studio che li sfida tutti: la collaborazione di Louis Vuitton con Riot Games per la World Championship 2019 di League of Legend, uno dei più grandi eventi mondiali negli e-sport.

Louis Vuitton porterà un nuovo stile al gioco, disegnando la custodia del trofeo e le “skin” (costumi) per i personaggi online.

Louis Vuitton Riot Games

Louis Vuitton Riot Games Fonte: https://www.adweek.com/brand-marketing/louis-vuitton-fashion-league-of-legends

Michael Burke, chairman e CEO di Louis Vuitton commenta: “Louis Vuitton è stato a lungo associato ai trofei più ambiti al mondo, ed eccoci qui oggi, a fianco della Summoner’s Cup. Siamo entusiasti di far parte di un evento così iconico”. Lo scorso anno il brand di moda aveva progettato la custodia del trofeo anche per Fifa World Cup, Rugby World Cup e America’s Cup.

Louis Vuitton vestirà inoltre i campioni nel gioco con costumi limited edition. La vendita di costumi per i personaggi del gioco per Riot Games è fonte di prestigio e entrate economiche (League of Legend è un gioco gratuito) e Louis Vuitton venderà i costumi a un prezzo più alto, associandoli a uno status symbol nel mondo virtuale così come in quello reale.

Una collaborazione che fa intuire la crescente popolarità degli e-sport e l’investimento di brand lungimiranti, verso un nuovo pubblico solo apparentemente distante e per troppo tempo davvero sottovalutato.

Source: http://www.ninjamarketing.it/

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