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Gucci, Alitalia e gli altri brand con problemi di Blackface: vero razzismo o eccesso di politically correct?

Nel corso degli ultimi mesi si è parlato più volte del concetto di Blackface, in relazione a brand, campagne pubblicitarie e celebrità additate di razzismo: sono state coinvolte, tra gli altri, Gucci, Alitalia e Prada.

Cosa vuol dire Blackface e perché se ne parla

Il termine Blackface nasce in America nel XIX secolo: si tratta di uno stile di makeup teatrale per cui gli attori bianchi venivano truccati da persone di colore, in modo marcatamente parodistico.

È tutto vero: questo tipo di tecnica era utilizzata per delle rappresentazioni teatrali fortemente caricaturali volte a denigrare e ridicolizzare gli afroamericani e tale pratica è stata denunciata dallo stesso Martin Luther King in quanto fortemente razzista.

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Con queste premesse ben note, viene difficile pensare che la scelta di utilizzare questa deprecabile “tecnica” possa essere presa in considerazione, specie da un big brand e da professionisti del settore.

Cosa succede quando si ha il sospetto che un brand abbia commesso un errore grossolano o sia in odore di messaggi razzisti?

Spesso, l’indignazione pubblica che esplode non è preceduta da una fase razionale di analisi e il boost delle critiche nasce un po’ dall’accodarsi alla massa, “dare addosso” al malcapitato del giorno e sfogare una tensione accumulata.

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Un giorno tocca a un social media manager disattento, un altro al brand considerato superficiale. Un altro ancora può capitare a ciascuno di noi, essere travolti dalla shitstorm social.

Alitalia e i presidenti americani

Nei giorni scorsi si è molto discusso dell’ultima campagna pubblicitaria di Alitalia, volta a promuovere l’inaugurazione della nuova rotta Roma-Washington.

La video campaign ha visto come protagonisti quattro presidenti americani, del passato (e trapassato) e del presente, in giro per Roma, disorientati, alla ricerca di un’unica risposta: Dov’è Washington?

Le personalità coinvolte sono state, nello specifico, George Washington, Abraham Lincoln, Barack Obama e Donald Trump, interpretati da attori resi somiglianti agli originali attraverso la tecnica cinematografica del “trucco pittorico�.

Cos’è il trucco pittorico e perché non ha a che fare con Blackface

La tecnica del trucco pittorico ha un carattere volutamente teatrale e caricaturale. Il risultato è una esagerazione degli aspetti peculiari di un personaggio per favorirne immediatamente l’identificazione.

Tutto è filato liscio con 3 dei 4 soggetti scelti: sulla performance di Mr. Obama, l’opinione pubblica non si è lasciata sfuggire il “trucco pesante” sull’attore tunisino Balti Khaled, scelto per interpretare il ruolo. Allo stesso modo, le guance di Trump sono state tornite, lo sguardo severo di Lincoln pronunciato e il colorito rossastro della pelle di Washington accentuato, ma nessuno ha parlato di “oltraggioâ€� per questo.

Il web è insorto (ancora una volta) sulla scia dell’indignazione americana, tacciando la compagnia di razzismo e urlando allo scandalo per l’utilizzo della tecnica Blackface, ma le opinioni sono tutt’altro che concordi.

Da un lato c’è chi accusa la compagnia, se non di razzismo, di una certa leggerezza nell’approccio a un tema così delicato.

Dall’altro, la reazione del pubblico viene considerata un peculiare caso di eccesso del politically correct, in cui l’altra faccia della medaglia di questa caccia alle streghe è un’ipocrisia diffusa e generalizzata.

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In qualsiasi posto risieda la verità, Alitalia ha ritenuto giusto ritirare lo spot, scusandosi pubblicamente sui suoi canali social.

Quando si parla di temi delicati come il razzismo, ogni situazione potenzialmente offensiva, per essere considerata tale, va necessariamente calata nel contesto in cui viene fruita, ma al di là del processo che si possa fare alle intenzioni, la querelle si è conclusa.

Anche Gucci e Prada sulla stessa barca

Un caso emblematico che ha visto di recente l’Italia nell’occhio del ciclone per il tema “razzismo�, sulla scena nazionale e internazionale, è stato quello di Gucci.

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Protagonista della contestazione un maglione nero a collo così alto da coprire metà del viso della modella, con, all’altezza della bocca, un apertura circondata di rosso che ha ricordato la cosiddetta iconografia darky, sulla base della quale veniva praticata la tecnica del Blackface.

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Anche in quell’occasione, il marchio si è sentito obbligato a ritirare il maglione dal mercato, in risposta al boicottaggio social.

Tuttavia, quello del maglione di Gucci non è stato un caso isolato: a dicembre dello scorso anno un altro big brand del fashion, Prada, è stato accusato di razzismo.

Parliamo di Pradamalia, una collezione di mascotte dalle fattezze animali griffate dalla maison milanese. Tra queste, una in particolare ha suscitato l’interesse degli osservatori più attenti: la scimmietta Otto.

Conseguenze? Pioggia di critiche (e non solo) da parte di chi sosteneva che i tratti della scimmietta fossero facilmente riconducibili a quelli illustrati in Little Black Sambo: cortometraggio animato degli anni Trenta che rappresentava, in modo caricaturale e stereotipato, la popolazione africana.

Anche in quell’occasione, il brand ha fatto marcia indietro e ha provveduto a ritirare subito il prodotto.

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La storia di Prada racconta inclusione e diversità

La storia di Prada racconta tutta un’altra attitudine rispetto al tema della diversità, intesa in senso lato.

Miuccia Prada ha sempre supportato la diversità culturale e le passerelle del brand hanno spesso accolto modelle curvy e modelli âgé, oltre al fatto che spesso le campagne del brand hanno avuto, come protagonisti, volti come Naomi Campbell e Malaika Firth.

Una storia di gran lunga inconciliabile con il concetto di razzismo.

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Vox populi, vox Dei è un concetto ancora valido al tempo dei social? Lo è mai stato, in realtà?

La potenza di un boicottaggio social e il clamore mediatico che ne consegue sono elementi di disturbo tali da condizionare le strategie dei brand (anche quelle già in corsa), obbligandosi a piegarsi alla temporanea volontà di un censore morale che non si identifica neppure nel target di appartenenza.

Source: http://www.ninjamarketing.it/

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